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L’economia dello Ior sostenibile che ha eliminato i derivati

Redazione 4 Giugno 2017

L’Istituto per le Opere di Religione (IOR) ha di recente rivisto le proprie strategie di amministrazione e di investimento dei fondi gestiti e posseduti. Secondo i dati del 2015, la banca Vaticana avrebbe a disposizione 700 milioni propri e gestirebbe circa 6 miliardi di euro.

E’ del 2015 la nomina di Gian Franco Mammì quale direttore generale dello IOR, nomina sostenuta dallo stesso pontefice, intenzionato a modificare le strategie di investimento della banca Vaticana, per raggiungere un modello di azione con al centro di tutto l’uomo e solo in secondo piani i guadagni, ovviamente necessari per una corretta amministrazione.

Giorgio Majorano, attuale cfo dell’Istituto per le Opere di Religione, ha spiegato che l’obiettivo dell’Istituto non è quello di perseguire il massimo profitto, ma è puntare ad un buon guadagno con la massima moralità, preservando la buona reputazione della Chiesa e la fiducia di chi mette nelle mani dello IOR i propri fondi.

In accordo con questa filosofia di azione, circa il 60% dei fondi disponibili sono stati investiti su bond bancari (minimo di rating BBB-) e su titoli governativi con rating pieno. E’ stato acquistato negli ultimi anni un numero esiguo di titoli azionari, sono state scelte obbligazioni con una durata massima di cinque anni per evitare di rischiare con la volatilità dei titoli e non sono stati acquistati titoli strutturati e derivati.

Per la scelta di ogni investimento è stato valutato il cosiddetto IOR Score, uno strumento con un valore variabile tra 0 e 100, calcolato sulla base di molteplici fattori. Sono stati esclusi a priori tutti i potenziali investimenti che hanno ottenuto un punteggio minore di 50. Oltre alla selezione attraverso lo IOR Score, sono stati esclusi anche investimenti in settori non condivisi dalla Chiesa Cattolica o considerati rischiosi, fra i quali il settore farmaceutico, ritenuto molto rischioso, il tabacco, la difesa, il nucleare e l’alcol.

Un’influenza determinante sull’economia della Chiesa è quella delle attività sanitarie. Vladi Lumina, attualmente fra i membri della commissione che si occupa del settore sanitario della chiesa, ha dichiarato che al momento sono circa 150.000 le strutture sanitarie cattoliche. Alcune di queste strutture sono cadute in disuso e qualcuno ha proposto di venderle, mentre Vladi Lumina non è della stessa opinione: a suo avviso sarebbe meglio rilanciare queste strutture, anche a patto di sostenere dei costi non irrilevanti, ma con l’obiettivo di offrire una centralizzazione dell’uomo nel settore della sanità e di riscoprire i valori etici che negli ultimi anni sembrano essere in pericolo.

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